Pagina:Serao - La conquista di Roma.djvu/375


La Conquista di Roma 371


Nella solitudine, fra il novello germoglio degli alberi e dei fiori, in tanta soavità di cose e di cielo, ella era buona e cara e amorosamente compassionevole: ma al cospetto della maligna e dura città che non perdona, ella chiamava tutto il suo coraggio per diventare inflessibile, s’irrigidiva nella sua volontà di chiedere e di ottener sacrificio dell’amore. Così egli faceva di tutto perchè non ritornasse più verso il grande terrazzo, verso la breccia cittadina, persuaso che l’ora e il tempo e la stagione l’avrebbero indotta a mitezza. La trattenne presso il parapetto, donde giù giù si vede quello stretto budello che è la Via delle Mura: non vi passava un’anima.

«Non bisogna amare troppo tardi,» riprese ella, con un’infinita dolcezza di mestizia, «è inutile, è doloroso. Dove eravate voi cinque anni fa?»

«Laggiù, in Basilicata,» rispose, con un gesto vago.

«Io lassù, lassù, nei monti, fra le nevi. Credevo alla neve dei ghiacciai, io, il ghiacciaio che nulla vince. Ho sposato don Silvio: egli era buono, io non sapevo nulla del sole. Ora, il sole viene per me troppo tardi.»