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La Conquista di Roma 97

liquori, di saponi, ciò che gl’Inglesi chiamano grocery, da cui usciva un sentore pungente e quasi caldo di spezierie: dall’altra parte una bottega di fioraio, piena di portafiori di giunco, di vimini dorati, di tronchi grezzi, che aveva, nella mostra, delle rose invernali, e financo in un vasettino, un ramoscello di mughetto, una primizia delicata. La scaletta era di marmo, netta, illuminata, dall’alto, da una finestra sul tetto. Sopra ogni pianerottolo davano tre porte, di legno biondo, un acero venato, coi pomi lucidissimi di ottone, per bussare. Un servitorello in mezza livrea venne ad aprire, subito, e fece entrare l’onorevole Sangiorgio in un salottino semibuio, dicendo che la signora sarebbe venuta a momenti: l’onorevole sentì un tappeto molle in terra e sedette, tastando un poco, sopra una poltroncina, bassa e soffice. Così, nella penombra, distingueva un tavolino coperto di felpa gialla, d’oro, un portacenere giapponese, un vaso di vetro veneziano. Ma un lieve passo si udì: la signora s’intravedeva, alta, non grassa, ma pienotta, con acconciatura corretta di capelli castagni tutta ondulata dal ferro della pettinatrice e ornata di fornicelle di tartaruga bionda; con un vestito di lana nera, semplice, di una