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36 telegrafi dello stato


mandato al diavolo il telegramma, dicendo a Clemenza Achard, che per rispondere presto, aveva ingoiato di traverso un bicchierino di rosolio e che ora tossiva come un dannato. Clemenza Achard era tutta confusa, non osando intraprendere una conversazione proibita e temendo di sembrare ineducata al corrisponente, se non gli rispondeva. Non sapendo che fare, battè un colpettino sul tasto, un puntino solo, timido timido: e Cassino, visto che la conversazione non attecchiva, si tacque. In quel momento dalla piazza della Posta, dove già si udivano i primi scoppi di trictrac e delle bombe natalizie, salì alla Sezione Femminile un lungo, dolcissimo fischio. Peppina De Notaris, malgrado la sua presenza di spirito, arrossì nel suo delicato volto di bruna, e tutte le ausiliarie, più o meno, chi trasalì, chi sorrise. La sapevano tutte, quella appassionata leggenda dell’innamorato di Peppina De Notaris. Era un giovanotto bruno e sottile come lei, impiegato al municipio: adorava Peppina. Restava in ufficio fino alle cinque: e se ella era libera nel pomeriggio, andava da lei e vi restava fino alle sette, l’ora del suo pranzo: vi ritornava dopo pranzo, subito. Ma quando ella era di servizio nel pomeriggio, egli pranzava in fretta e si andava a ficcare nel piccolo caffè della Posta, dirimpetto al palazzo Gravina. Ogni mezz’ora fischiava lungamente, dolcemente, come a dire: «eccomi, sono qui, ti voglio bene». In quel piccolo caffè non vi era mai nessuno e l’innamorato di Peppina che vi restava tre o quattro ore, leggeva tutti i giornali, parlava col padrone, col cameriere, si era fatto amico con tutti. Di estate sedeva sulla porta e parlava coi conduttori