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nella lava 159


sedile con due giovanotti corteggiatori che non mancavano mai di venirle ad applaudire, ogni sera, al teatro, dalle poltrone, e filavano, giovanissime ancora, ma già scaltrite, parlando dei loro trionfi teatrali, facendo le disgustate del matrimonio: e la madre, una vecchia rabbiosa e stizzosa, seduta al banco di rimpetto, fingeva di sorvegliarle e si faceva vento dispettosamente, sonnacchiosa, obbligata alle veglie continue. Mancava la Costa: — ma ella non usciva quasi mai di sera per paura di guastarsi la voce — e Gelsomina Santoro era alla rotonda, non amando di filare, preferendo l’ammirazione di tutti quelli che passavano, alla corte di uno solo. Fino alla loggetta, fino all’altra porta della Villa, su Mergellina, era un vagabondare d’amanti, il bell’amore semplice, ardente, bonario e poetico di Napoli, fatto tra i fiori, gli alberi, innanzi al mare, sotto le stelle, nelle indimenticabili serate create per quest’amore.

Solo alle undici, mentre la musica suonava l’ultimo pezzo, il famoso waltzer di Métra, che tutte le ragazze hanno ballato, la Vague, la folla cominciò a diradarsi: partivano prima le famiglie più borghesi, quelle che profittavano dell’omnibus, che va a porta San Gennaro, la sera di domenica, sino alle undici; quelle che abitando lontano, dovevano rientrare a piedi. E l’andare delle famiglie era lento, le ragazze cercavano di prolungare la loro serata amorosa, camminando piano: il padre e la madre venivano dietro, posatamente. Solo Maria Jovine, la simpatica zoppina dagli occhioni azzurri, andando via con la sua bella mamma, era uscita per la porta di mezzo, stancandosi a camminare,