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parte seconda 55


Ma la contemplazione la stancava. Ricominciò a cucire. Sedeva nel vano del balcone, avendo dinanzi un tavolino da lavoro, sparsivi sopra i gomitoli, l’agoraio, il cuscinetto degli spilli, le forbici grandi e piccole, le matassine di nastro da orlare; accanto aveva un grande cesto di biancheria nuova, tutta impuntita, da cucire. Ora faceva l’orlo a un tovagliuolo di Fiandra; ne aveva già orlati quattro, che stavano, piegati, sul tavolino. Cuciva piano, senz’affrettarsi troppo, senza curvarsi troppo sul lavoro, con una giustezza armoniosa di movimenti. Quando tagliava il filo con le forbici, si voltava un momento verso la strada, per vedere se alcuno giungesse. Poi riprendeva pazientemente l’orlo, stirandolo con l’unghia rosea per renderlo uguale. Una volta, un rumore nella via la fece scuotere: abbandonò il cucito, stette ad aspettare. Era il carrozzino coperto in cui l’avvocato Farini tornava da Nola, dove era stato per una causa in pretura. L’avvocato, scendendo, le fece una grande scappellata. Lei, malgrado il disinganno, salutò con un bel sorriso e seguì con lo sguardo l’avvocato a cui i bambini tendevano le braccia dai ferri della loggia, strillando.

Di nuovo il profilo corretto si chinò sulla tela fiorata e la mano agile fece correre l’ago. Caterina pareva fatta più grande, sebbene serbasse ancora una certa delicatezza fanciullesca, una minutezza gentile di lineamenti. Lo sguardo degli occhi grigi era più fermo, più diritto; si era assodato il contorno delle guance, era diventato più energico il mento. Sulla fronte un po’ bassa calavano le due falde dei capelli