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384 fantasia

perfettamente, non entrava aria. Guardò attorno, pensando se potesse entrare aria da qualche altra parte. No.

Tirò il braciere in mezzo alla stanza: con un pezzetto di carta infiammato al lume accese un paio di carboncini. Soffiò sul fuoco, per farlo dilatare. Poi si rialzò, portò il lume presso il letto, sciolse le tendine bianche del letto; stette immobile un istante, come se pensasse. Si voltò al braciere dove l’un carbone accendeva l’altro e il mucchio acceso si dilatava: sentì una pesantezza percettibile alla testa. D’un colpo soffiò sul lume e si coricò sul letto, tirandosi la tendina, stendendosi al posto dove dormiva sempre.

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Quel bel sole d’inverno illuminò una camera, dove una nebbiolina avvolgeva tutto. Dietro le tendine bianche era distesa la piccola morta. Vestiva di nero, i piedi distesi e uniti, la testa appoggiata ai cuscini: pareva diventata più piccola, una bambina. La faccia era terrea. Non si erano scomposti i capelli: la bocca schiusa come in cerca d’aria, le labbra violacee, il petto lievemente sollevato, il resto del corpo affondato. Gli occhi di questa piccola morta erano spalancati, ma vitrei, come nella stupefazione di qualche spettacolo incredibile. E intorno alle mani terree, dalle dita violacee, azzurreggiava un rosario di lapislazzuli, per metà spezzato.

Fine.