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parte quarta 285

amava, lo amava, lo amava, che era il suo Andrea, il suo forte amore, che ella aveva perduta la pace, che era felice perchè l’amava, infelice perchè non la lasciavano amare, che bisognava giuocare di audacia, che Alberto e Caterina — poveri, poveri traditi — non avevano sospetti, che lui Andrea studiasse lei, Lucia, e comprendesse quello che gli diceva con gli occhi, che era la sua innamorata, la sua donna, che adorava il suo bel signore...

Tutto il nero era scomparso. Andrea si sentiva soffocare dalla gioia; si mise a parlare forte con Matteo, lo stalliere, chiamò i cani Fox e Diana che gli saltarono addosso, impugnò Diana per la pelle del collo, fece fare dei salti enormi a Fox, ridendo, gridando, dicendo a Matteo che era un vecchio rimbambito, che i cani valevano più di lui, ma che viceversa lui era una buona bestia. Da una finestra comparvero due testoline di donna e una testolina di uccello spennacchiato: allora egli disse a quelle signore che proponeva loro una grande passeggiata in carrozza, al trotto. Loro signore, come due principesse in incognito, nella victoria, egli e Alberto nel phaéton.

— E la colazione? — si lamentò la voce sottile di Alberto, seppellita in una sciarpa dì lana.

— Hai ragione — tuonò lui, dal cortile — mangeremo prima.

E salì le scale a quattro a quattro, cantando, scuotendo i ricci della criniera leonina. Arrivato su, prese Alberto pel collo e lo costrinse a fare un giro di polka turbinosa per tutto il salone.