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salute che ha ribrezzo del morbo. Allora venivano le ore tetre, in cui Lucia presa da una disperazione muta si stendeva sul divano, rigida come una morta, i piedi nascosti sotto la gonna, lo strascico pendente, la testa sui cuscini, le braccia arcuate e le mani congiunte sotto la nuca, gli occhi chiusi, la faccia pallidissima. Rispondeva poco e a monosillabi, duri, freddi. Non apriva gli occhi, passando le ore così. Alberto si affannava a interrogarla: ella taceva. Caterina, che conosceva questi malumori profondi dal collegio, gli faceva cenno di tacere, di lasciar passare. E tacevano tutti e la tetraggine si allargava su loro. Di botto, in punta di piedi, Andrea prendeva il cappello e se ne andava, senza guardare dalla parte del divano. Caterina si turbava a questa partenza, perchè sapeva che suo marito non poteva soffrire queste scene bizzarre. Lo raggiungeva per le scale, richiamandolo, parlandogli sottovoce.

— Abbi pazienza, Andrea — gli diceva.

— Ma che avrà? — domandava lui.

— Non so. Sono pensieri strani che le guastano il cervello. Ella dice che sono visioni e che il medico le chiama allucinazioni. Ella vede cose che noi non vediamo.

— Che creatura singolare!

— Poverina, sai, è molto sofferente. Se tu sapessi quel che mi racconta, quando voi altri non ci siete. Temo che abbiamo fatto male a consigliarle di sposare Alberto...

— Ma che ti dice? Raccontami.