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parte quarta 255

ravvolta attorno alle gambe, era il contrapposto di quel giovanottone gagliardo, vestito di chiaro, collo libero, cappello grigio alla cacciatora, con la penna d’aquila nel nastro, mustacchio arricciato. Andrea guidava benissimo, ma sulle vie larghe allentava un poco le redini e lasciava prendere certe rincorse al cavallo, che spaventavano Alberto.

— Andrea ha intenzioni di omicidio su me — disse una sera a sua moglie che lo guardò fisamente, quasi lo interrogasse sul tôno di quello scherzo.

Nelle loro passeggiate, Alberto, quando aveva voglia di discorrere, gli parlava dei suoi due soggetti favoriti: la sua salute e sua moglie — gli decantava le bellezze di Lucia e la profondità del suo ingegno e l’impensato delle sue risposte. Talvolta scendeva a certi particolari che fra uomini, fra giovanotti ammogliati, si dicono sorridendo — e Alberto ci metteva certe intonazioni di malato voluttuoso, certe velature morbose di etico innamorato, che irritavano Andrea. Allora pazzamente sferzava il cavallo, faceva schioccare la frusta come un carrettiere, si lasciava andare all’ebbrezza fisica di una corsa trabalzante, sulle pietre della via maestra.

— Tu sei pudico come una verginella — gli diceva qualche volta, ghignando, Alberto, e si convinceva sempre più che questi uomini molto robusti hanno i muscoli troppo sviluppati a sfavore dei nervi. Gli uomini forti sono freddi: questo consolava Alberto che era debole.

Ritornavano a Centurano con un galoppo furioso. Appena voltavano l’angolo, vedevano un fazzoletto