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parte terza 241

e gli carezzava i capelli, con un moto quasi materno; egli si muoveva sotto quella mano che ne scompigliava i ricci, con un moto di gatto che si fa lisciare. Poi, sotto la tranquillità dei grandi alberi, una voce risuonò, calma, fredda:

— Andrea, quello che facciamo, è un’infamia.

— Perchè, amore mio santo?

— Se non capisci che è un’infamia, io non posso spiegartelo. Ricordati che vi sono due esseri al mondo, innocenti, che ci amano, che soffriranno per noi: Alberto e Caterina.

— Essi non ne sapranno nulla.

— Sì, forse: ma il tradimento infame esisterà sempre per noi. Noi non dobbiamo amarci.

— Perchè, se ti amo? Tu sei il core mio, la mia dolcezza, il mio profumo...

— Taci, dunque. Questo amore è una colpa. Andrea.

— Non ne so nulla. Ti amo. Tu mi vuoi bene: l’hai detto.

— Io ti adoro — disse lei, freddamente. — Mi sento impazzire per questo amore. Ma ciò deve cessare. È un peccato dinanzi a Dio, una colpa dinanzi alla gente, un reato innanzi alla legge.

— A me non importa nulla di Dio, della gente, della legge. Io ti amo...

— Noi siamo colpevoli, peccatori e adulteri. Tutti i tribunali umani e divini ci condannano...

— E che me ne importa? Io t’amo!

— Noi siamo pieni d’inganno, di malafede, di nequizia.