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parte terza 233

candosi per le viottole, scendendo a precipizio, lui sorreggendola alla vita con un braccio, attraversando certi larghi prati dove l’erba molle bagnava le scarpette di Lucia, tenendosi per mano, quasi abbracciati, senza guardarsi, presi dalla follìa innocente della natura verde che ubbriaca. Trovarono un rivolo. Andrea sollevò sulle braccia Lucia e la posò sull’altra sponda; lasciandola, la strinse tanto che ella diede un grido.

— Vi ho fatto male? — dimandò lui, umiliato.

— No.

Si curvarono per discendere una viottola, dove i rami d’albero s’inchinavano, s’intrecciavano fitti come in una foresta vergine. Un leprotto passò al galoppo, destando la sorpresa di Lucia.

— Ah! se avessi un fucile! — gridò Andrea, mordendosi l’indice.

— Cattivo, cattivo! Come potete godere della morte d’innocente animale?

— Oh, è una voluttà grande. Voi non potete intendere l’ansia smaniosa di chi segue le tracce di una lepre. È un combattimento di astuzie, di furberie animalesche. Non sempre la vittoria resta all’uomo. Ma quando il suo colpo coglie in pieno e l’animale cade al suolo, palpitante, morente, col sangue caldo che sgorga a fiotti...

— È orribile, orribile!

— Perchè? — chiese l’altro, nella ingenuità del suo istinto.

— Siete senza cuore, siete un essere insensibile.

— Scherzate?