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parte terza 223

terreno. Ma si rialzavano, riprendevano la prima posizione. Due o tre volte la forma candida e la massa bruna, spenzolandosi dal fianco del balcone, parve si tendessero le braccia, ma ricadevano, abbattute, allo stesso posto, come condannate a quella inazione, torturantisi in quel desiderio senza compimento, fatte parte di quel balcone immobile e spietato, diventate statue di travertino e di ferro. Durava quello strazio di una distanza minima che nella notte pareva immensa, durava quella tortura di non potersi vedere, di sapersi là e di non potersi scorgere. Finalmente un soffio lievissimo:

— Andrea.

E un soffio caldo, passionato:

— Lucia.

Per l’aria, lanciata da una mano malferma, una cosa bianca volò, da un balcone all’altro. Egli l’afferrò sull’orlo della ringhiera, mentre era lì lì per cadere. Nella rovina di un abituro una civetta stridette tre volte. Un fioco grido di spavento le rispose da sinistra e la figura bianca scomparve in un istante: il balcone si chiuse. Su quello di destra rimase la massa bruna, aspettando, spiando.

Quando Andrea rientrò in camera sua, trovò il lume acceso, Caterina ritta presso il letto donde era scivolata, in pianelle, abbottonandosi l’accappatoio.

— Che hai, Andrea?

— Niente, cioè ho caldo.

— Hai di nuovo la febbre, come la notte scorsa?

— No, no: prendevo il fresco sul balcone. Ricoricati, Caterina.