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parte prima 13


— Professore, non la so.

— E perchè?

— Era domenica ieri e uscimmo. Non ho potuto studiare.

Il professore scrisse un’osservazione sul registro: la fanciulla si strinse nelle spalle.

— Casacalenda?

Quella non rispose. Si guardava intensamente le mani bianche e come modellate nella cera.

— Casacalenda, volete dire la lezione?

Stordita, spalancando i suoi occhioni, lei incominciò, incespicando a ogni parola, distraendosi, confondendosi, sbagliando tutto: il professore le suggeriva e lei ripeteva, con la sua aria compiacente di bestia giovane, bella e forte: non sapeva nulla, non capiva nulla e non se ne vergognava, conservando la sua placidità plastica, umettando le sue labbra un po’ feroci di Diana, contemplando le sue unghie rosate. Il professore crollava il capo malcontento, non osando sgridare quella splendida e stupida creatura, la cui voce aveva intonazioni incantevoli....

Egli fece due o tre altri tentativi: ma la classe non aveva studiato, per l’uscita del giorno prima. Così si spiegavano i fiori, i profumi, i bigliettini: le dodici ore di libertà avevano sconvolto le fanciulle. Esse avevano gli occhi pieni di visioni: avevano visto il mondo il giorno innanzi. Egli si raccolse, confuso, mentre nella classe un senso di vergogna e di rispetto chiudeva tutte le bocche. Egli l’amava tanto quella scienza della storia: il suo acume critico sapeva misu-