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parte terza 191


— Ma questi giurì sono un’epidemia — esclamò Alberto. — Ci pigliano le mogli; la signora Caterina è diventata invisibile, ora mi sequestrano la mia. Io mi oppongo.

— Fa come vuoi, io farò quello che tu vuoi — disse Lucia, sorridendo. — Pure è bello essere del giurì dei fiori. Inebbriarsi di colori, di forme gentili, di profumi: vedere i fiori più bizzarri, più delicati, più ammalati, più misteriosi, e trovare il più bello, l’eccellente, il fiore tra i fiori.

— Tu allora potresti accettare, Lucia — suggerì Alberto.

— Benissimo, accetterò per amor tuo. Signor Andrea, che ne dite?

— Non sono giudice competente — disse Andrea seccamente.

Allora Lucia, come se fosse stanca, gli passò la mano sotto il braccio, per appoggiarsi. Egli trasalì, sorrise, affrettò il passo come se volesse portarla via. Entrarono nella sala della canape, in arbusto, appena macerata, poi pettinata, poi filata, poi in matasse: una esposizione completa.

— Guardate, guardate, questa massa di canape: sembra la capigliatura di una fanciulla svedese che da un terrazzo guarda il freddo Baltico e aspetta l’amante sconosciuto. E questa qui, più bionda, filata sottilmente, sembra la capigliatura di Amleto, principe di Danimarca. Oh! che senso hanno tutte queste cose per me?

— Ella vede delle cose che tutti gli altri non vedono — disse Alberto, come se parlasse tra sè.