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quegli abiti moderni era impossibile portarsi dietro le chiavi. Quantunque fosse sicura dei servi di Centurano, pure si lasciava vincere da una lieve inquietudine.

— Per caso, Lucia, ti ricordi se ho chiuso lo scrigno? — domandò.

— No, cara; non me ne ricordo. Non sarà nulla, anche se l’hai lasciato aperto.

— Ve ne ricordate voi, signor Sanna?

— Sì, lo avete chiuso e avete messo la chiave sotto l’orologio.

— Grazie, grazie: mi sollevate da un dubbio.

— Signora Lucia, Caterina, vado a salutare il ministro — disse Andrea.

— Vi perdiamo?

— Sarò qui, rimpetto a voi; Caterina, non sbadigliare, sai. Pensa che sei la moglie di un vice-presidente di Comitato.

Ella sorrise vagamente, salutandolo. Lucia si alzò in piedi, a guardare la sala, assiepata: una triplice siepe di signore, poi una folla di abiti neri, su cui gli abiti chiari mettevano grandi macchie allegre: una folla ondeggiante, sotto le dorature del salone reale.

— O è bello, Caterina — diceva Lucia, già inebbriata dalla folla.

Poi, dallo scalone venne un soffocato romore di applausi. Tutta la sala si agitò, voltandosi verso la porta donde il presidente del Consiglio entrava, appoggiato al braccio del suo amico, l’onorevole di Caserta. La gamba ferita in battaglia lo faceva zoppicare: andava un po’ curvo. Aveva una robusta testa, dai capelli