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mandato apposta. Venite. Abbiamo un cuoco eccellente: non pranzerete male.

Ella si strinse nelle spalle. Pensava, con le sopracciglia aggrottate, come se guardasse nel futuro.

— Sembrate una Sibilla, signorina Lucia. Via, decidetevi. Un pranzo non è una cosa molto grave. Vi farò fare della crema méringue, che deve piacervi perchè è leggiera e nebulosa.

— Scriverò a Caterina.

— No, non scrivete. Perchè scrivete tanto? Mi ha imposto di costringervi a dire di sì.

— Bene, verrò.

E gli mise la mano nella mano. Lui, con un atto cavalleresco, si chinò e vi depose un bacio, una lieve sfioratura. Ella lasciò la mano e gli alzò gli occhi in volto. Pareva più alta di lui, per una strana illusione ottica.


Quando tornò a casa, tutto sbuffante, dopo una corsa di due ore attraverso Napoli, Andrea Lieti gridò alla moglie che Lucia Altimare era una creatura falsa, rettorica, e antipatica; che nella sua casa ci si affogava e si correva il rischio di un’apoplessia; che ella era circondata di tisici e di rachitici, Galimberti, Sanna, e chi sa quali altri; che mai più vi sarebbe ritornato; che vi era andato per amor suo, ma che le aveva fatto un grande sacrificio; che egli detestava quella posatrice fanciulla che riceveva gli uomini come una vedova, liberamente; che non capiva come gli uomini e le donne s’innamorassero di quell’anemica, di quelle