dolcissimo, dove
non iscorgeva più il limite del presente e dell’avvenire; si trovava
contenta in quella solitudine, in quella calda mattinata di giugno, in
quel bosco così pieno di vita ed intanto così tranquillo. Camminò a
lungo, dimenticando l’ora del ritorno; poi una piccola inquietudine,
subentrò alla sua pace, parve che la sua gioia diventasse arida come
un fiore disseccato. Era forse il sole che giungeva al proprio zenit?
Era un senso d’isolamento, d’incompleto, che la feriva? Era un lontano
ed impercettibile rumore? Era l’ansietà di giungere all’angolo del
viale che percorreva, per ispingere lo sguardo curioso anche più in
là? Difatti, a quell’angolo rattenne un istante le redini; un
cavaliere veniva verso di lei al passo del suo cavallo; il cavaliere
del ballo, che, come allora, la copriva d’una magnetica potenza del
suo sguardo. Si avvicinavano l’uno all’altra, annullando la distanza
che li separava, come due esseri che si avviino al loro destino:
quando furono di fronte, un saluto ed un sorriso intelligente, i
cavalli si sfiorarono, si allontanarono; all’estremità del viale Laura
si fermò e si voltò. Il conte Riccardo era fermo all’altro estremo,
lontano, lontano: eppure si videro spiccatamente; e poco dopo il bosco
si rinchiuse nella sua quiete maestosa, non turbata da alcun passo umano.