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ciar via l’immagine della donna oscena, tanto più quell’immagine viva, imperiosa, seducente, supremamemte bella, gli si piantava ostinatamente in faccia.

Il dì seguente alle cinque del mattino il curato stava seduto nel confessionario ad ascoltare e a perdonare i peccati monotoni delle paesane. Era il dì di San Rocco, e le donne timorate, prima di unirsi con la candela alla processione, che, verso le quattro della sera, doveva avere luogo tra la chiesa del villaggio e l’oratorio del Santo, volevano mettere la coscienza in pace. Ad ogni assoluzione il prete ripeteva dentro di sè, compunto e devoto, i versetti del cinquantesimo Salmo, e, per vincere la stanchezza e la noia, riandava nella memoria i capitali precetti sul ben confessare, massime quelli dati da sant’Alfonso dei Liguori, il quale insegnò a rimanere sempre nel giusto mezzo, non declinando neque ad dexteram rigorismi, neque ad sinistram laxitatis.

Una ventina di penitenti aveva già ricevuto l’Ego te absolvo quando il prete sentì un olezzo come di viole, soavissimo, e vide dai bucherelli della fitta grata un’ombra tutta nera. In quell’incavo buio del confessionario non si potevano scorgere i lineamenti del volto, ch’erano, per di più, ricoperti di un velo nero a ricami. Il sacerdote principiò in tono pieno di benevolenza: — Ringraziamo il Signore, figliuola mia, che vi ha condotta quest’oggi al tribunale della penitenza. Non