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vade retro, satana 31

pari d’una cavalla araba; le labbra tumide, le gote piene, e il mento rientrante davano a quel viso un non so che di pecorino e lascivo. Il cinabro della bocca era anzi un poco troppo vivace, il roseo delle guance un poco troppo sfumato, e la forma delle brune sopracciglia un poco troppo sottilmente arcuata per poter credere che l’arte non ci entrasse in nulla. E sotto gli occhi cerulei stava un lividetto, che li faceva sembrare più grandi. Era bella insomma alla sua maniera e carnale.

Il prete rimaneva in piedi. Ella si alzò con fatica, andò verso di lui, lo prese per mano e, condottolo due passi innanzi, lo fece sedere nel seggiolone. Poi, guardandolo fisso, come se ella si destasse in quel punto, stirò le braccia, che le maniche larghe lasciarono vedere quasi fino alle ascelle; e il petto si arrotondò fieramente.

Tornò a buttarsi sul sofà, lasciando cadere a terra dal piede destro la pantofola ricamata. Gli occhi cerulei erano diventati di bragia.

La voce non aveva più la stanchezza e la dolcezza di prima. Vi dominava un timbro secco, strozzato, rabbioso, quando disse al prete interrottamente: — Mi dica un po’, Don Giuseppe, perchè mi sfugge? Perchè non vuole vedermi più? Quand’io passo nel villaggio a cavallo della mia mula, perchè mi chiude in faccia le imposte della sua casa? Dopo avermi ricevuta in principio quattro