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22 vade retro, satana

di splendido drappo persiano; nei fianchi uscivano fuori due nuove ali in forma di padiglione, da cui quattro gradinate esterne scendevano alla prateria trasformata in giardino, dove non mancavano le zolle simmetriche, l’ampia vasca circolare con l’acqua limpida e i pesci d’oro, nè i sedili dondolanti sparsi nei luoghi più misteriosi ed ombrati. Nel lato posteriore dell’edificio un nuovo portico riparava le cavalcature mentre aspettavano i cavalieri; la cucina, la scuderia de’ muli, l’abitazione dei servi ed altri luoghi di basso uso avevano trovato posto in una specie di casa rustica, unita alla palazzina per mezzo di una lunga tettoia, la quale veniva tutta nascosta da piante arrampicanti e da arboscelli trapiantati.

Queste nuove fabbriche erano di legno, alzate su in fretta e destinate alla vita di tre mesi: non importava che le prossime nevi ed i geli le sfasciassero tutte.

Ai lavori aveva presieduto il vero scopritore, o, per meglio dire, inventore delle miniere, un farabutto matricolato, al paragone del quale il presidente della Società siderurgica, il barone banchiere, poteva dirsi una perla. Lo chiamavano Gregorio Viorz, e si bucinava che fosse stato due volte in carcere per truffa; gli attribuivano anche un veneficio, commesso per interesse, ma le prove mancavano e la giustizia non se n’era impacciata. Comunque sia, ad Innsbruck, sua