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vade retro, satana 21

egli martellava quindici ore della giornata su caldaie e padelle. Morì di settant’anni lasciando la sua casa al Comune, il quale vi teneva il fieno, giacchè, un poco per cagione dell’uso di abitare in isconquassate catapecchie di legno, un poco per l’idea che quell’edificio fosse stregato e recasse sventura, nessuno offriva un quattrino per andarvi a prendere alloggio.

I vetri delle finestre non c’erano più, le imposte cominciavano a sconnettersi; ma il palazzotto così bianco e alto e regolare, con la sua bella cornice e i suoi balconi sporgenti, rallegrava la vista, in mezzo alle capanne ed ai tugurii neri della valle. S’aggiunga ch’era piantato in uno dei più bei siti: sul contrafforte del monte, dove i paeselli della vallata di qua e di là si vedono tutti, e l’occhio si spinge sino al piano verde ed al castello di Sanna; e di dietro l’ombreggiava una folta macchia di larici antichi, mentre dinanzi lo rallegrava una prateria quasi orizzontale, piena di grandi arbusti di sambuco rosso, con i suoi grappoli che sembravano coralli infiammati, e ricca di fiori color di rosa, dondolanti sui gambi altissimi, di fiori gialli, violetti, bianchi, da farne la più gentile e variopinta corona per una vergine sposa.

La casa del calderaio, già bella, era diventata un incanto. Sulla fronte, nel piano terreno, sporgeva una nuova loggia, chiusa durante le ore del sole da tende che parevano