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154 santuario

III.


Mi gettai la pelliccia sulle spalle, ed uscii dalla stanza col rettore, il quale correva innanzi svelto, senza neanche aspettare che il servo gli facesse lume. S’andò in fondo alla loggia lunghissima, e poi si scese da una scaletta a chiocciola, rispondente alla sagrestia. Il prete andò a prendere in un angolo un grosso cero, e lo accese alla lanterna di Pasquale. Qua e là nelle cappelle luccicavano i lumini delle lampade. Il tempio era deserto, il silenzio sepolcrale. Innanzi alla immagine del Tabernacolo solenne ardevano due candele; ma la figura non si vedeva affatto, solo scintillavano su di essa le pietre preziose e brillavano gli ori, posti, s’indovinava, in forma di diadema, di pendenti, di monili, di spilloni, di catenelle, di braccialetti, e ammonticchiati alla base. Poichè il rettore ebbe detto, in tre minuti al più, fervorosissimamente, le sue giaculatorie, si principiò in fretta la visita dei voti: quadri grandi, mezzani e piccoli, innumerevoli, nei quali appena si distinguevano