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CAPITOLO XI.


Quindi io dissi, o Iscomaco, della tua donna abbastanza parmi di averti udito ragionare, e cose tali nel vero da meritarne ambedue somma lode; ora adunque parlami delle opere che tu medesimo fai, poichè mi penso che dovrà seguitarne, che tu, ragionando di quello per cui tanto sei tenuto in pregio, dovrai averne diletto, e che io intendendo compiutamente quali esse sieno le opere di un uomo che viene onorato del nome di bello, e buono, e, se pure il potrò, apprendendole, mi ti abbia a riconoscere di molto obbligato. Ma io certo, Iscomaco disse, non ad altro fine ti narrerò assai di buon grado, o Socrate, tutto quello che del continuo vado facendo se non perchè, non parendoti ben fatta alcuna mia operazione, tu mi abbia a correggere. Ma come mai, allora io gli dissi, potrei a ragione correggere chi sa operare quello che si è bello, e buono massimamente sedendomi io un tal uomo che vengo accagionato di non saper dire che ciance, e di andar misurando l’aria, ed oltre a questo, ciò che sembra un difetto il più proprio di uno stolto, sono chiamato un povero. E veramente, o Iscomaco, erami al tutto sgomentato per un tal difet-