Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/21

Giovambattista Dante, a che t’affanni
     Di metter l’ah, e andar sul Trasimeno?
     Per romperti una gamba? Oh! smetti i vanni,
     Di tante invenzion far si può a meno,
     Se forza non abbiam di cinguellare,
     Vuoi darci la fatica di volare?
Ma tutt’altro oramai lasciam da canto,
     Leggiadre donne, abbiam qui una donzella.
     “Negar nessun mel può, l’è sol mio vanto
     “Fra le donne più belle esser più bella.„
     Zitta, non favellar, giù l’albagia,
     Senti con umiltà la voce mia.
Non creder già ch’io ti farò un sermone;
     Ben poco su parlar, ma il ver ti dico;
     Di che superba vai, chieggo a ragione?
     Splendore di bellezza, è detto antico,
     È repente così, che viene a sera,
     Qual fior, che t’apparisce in primavera.
Io non cerco beltà, dice il Signore,
     Di corpo, ma beltà d’un’alma pura.
     E poi, ragazza mia, fiamma d’amore
     Che accese la beltà, lunga non dura.
     Ma l’amor per virtù non ha mai fine,
     E cerchi sempre, e mai trovi il confine.
Oh! questo è da guardarsi veramente;
     Tutti fissate qui l’attento sguardo:
     Ecco il signore dalla bella mente,
     Che per non esser nella scienza tardo,
     Per arricchir di conoscenze ognora
     Studiar nel ritratto e’ vuole ancora.
O filosofo mio, non l’abbi a sdegno,
     Se l’esser savio ognor, spesso è da matto.
     Come ti chiamerò, se l’alto ingegno
     Tenta mostrar financo nel ritratto?
     Chi molto senno in sè medesmo crede,
     Dell’intelletto il ben perde, in mia fede.