Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/244

188 capitolo trentesimoprimo

chia, mi corsero addosso, e con orrido e quasi rabbioso stridore, mi stettero intorno con mia grande paura, e l'una mi lacerava la tonica, e l’altra mi sciogliea i nodi de’ calzari e rapivameli, ed una persino, che guida e capo ne era, non ebbe difficoltà a morsicarmi una gamba con quel suo becco segato, che mi tormentò. Onde, lasciando le corbellerie, afferrai il piede d’un tavolino, e scagliatomi con quest’arma contro il feroce animale, gli diedi una picchiata mortale, e per vendetta l’uccisi.


    I Stimfalidi augei151 così, cred’io,
Da Alcide spinti verso il ciel fuggiro,
Così le Arpie152 profluvianti, poi
4Che le inutili mense di Fineo
Sparse di tosco avean. L’etra atterrita
Tremò pei stridi insoliti, ed uscita
Parve per lo terror dai cardin suoi
8L’empirea reggia, e scorsa oltre il suo cerchio.


Le altre oche aveano intanto raccolte le fave disperse per lo pavimento, e afflitte a parer mio della lor guida ritornarono al tempio. Io contento al tempo stesso e della preda e della vendetta, posi la uccisa dietro il letto, e la piccola ferita della mia gamba lavai di aceto; dipoi per ischivar le quistioni feci disegno di andarmene, e raccolte le cose mie m’avviai per uscire. Ma ancora non era giunto di là dell’uscio, che vidi tornare Enotea con una tegola piena di fuoco. Perciò tornai addietro, e cavatami la veste, in atto di aspettarla mi fermai sul passaggio.

Posò essa il fuoco ammonticchiato sopra cannuccie rotte, e buttatavi su molta legna, si scusò meco del ritardo per averle l’amica sua impedito di tornare, se prima non avessi vuotati, secondo il solito tre bicchieri. E intanto che hai tu fatto? mi disse; e dove sono le fave?