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due ghiotti a un desco 113

io non abbia a quistionare anche teco, io per tutt’oggi mi asterrò da un tal pasto. Ed io, ripresi io, se tu per oggi a questa smania rinunci, vo’ che ceniamo insieme; al tempo stesso mandai dicendo al locandiere che ci apparecchiasse una cenetta. Dipoi andammo a’ bagni dove io vidi Gitone con fregoni e striglie appoggiato al muro tutto tristo e confuso: ben vidi ch’ei non era contento del suo servizio. Intanto che io per assicurarmene attentamente il guardava, egli rivoltosi a me con volto giubilante, miserere, mi disse, o fratello; ora che non vi son armi liberamente lo dico. Toglimi dalle mani di un crudel ladrone, e punisci con qual tu vuoi penitenza afflittiva il tuo giudice. E’ mi sarà assai di sollievo il sapere che io meschino soffrissi per tua volontà.

Io gli accennai di tacere, onde nessun capisca l’intenzion mia, e lasciato Eumolpione, perchè erasi messo a recitar versi nel bagno, ne feci uscir Gitone per un passaggio buio e sudicio, e cautamente volai al mio alloggio, dove chiuse le porte lo strinsi con trasporto al mio seno, asciugandogli col mio viso la bocca bagnata di pianto. Ciascun di noi per un pezzo stette zitto: perchè il ragazzo erasi rotto lo stomachino coi molti singhiozzi. Oh somma iniquità, sclamai dopo, l’amarti benchè tu m’abbi abbandonato! nè ancora è cicatrizzata nel mio petto la larga piaga che tu vi facesti. Pare a te darti in braccio ad un amore ambulante? Meritava io questa ingiuria?

Quand’ei s’accorse d’esser tuttora amato mostrò un sopracciglio più altero. Ma (io proseguii) nessun altro giudice voglio io che dell’amor mio decida: se tu sinceramente ne sei pentito io più non mi lagno di nulla, più nulla mi ricordo.

Esprimendomi io con sospiri e con lagrime, egli col mantello asciugommi le guance, e disse: io mi riporto, Encolpo, alla tua stessa memoria. Son io che t’abbandonai, o tu che mi consegnasti? Non nego, anzi ilcon-