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eloquenza del vino 53

non so quale avventuriero. Assai va lontano chi dai suoi s’allontana. Ma egli ebbe de’ servi spioni, che il rovinarono. E certo, non fa mai bene chi tosto crede, massimamente s’egli è negoziante. È ben vero che fin ch’ei visse se la godette, perchè non solo il potea, ma il volea. Egli fu veramente figliuol di fortuna, in mano a cui il piombo diventa oro. Ma nulla è difficile dove tutto corre a seconda. E quanti anni credete voi ch’ei portasse? Settanta e più. Ed era sano come un corno, sosteneva bene l’età, e di pel nero al par di un corvo. Io lo conobbi quand’e’ fabbricava olio; egli era ancor vispo, e credo, perdio, ch’ei non lasciasse a casa il suo cane, perchè gli piacean le fanciulle, e appiccava il suo voto ad ogni immagine. Di che io gli do ragione: che finalmente ciò sol di buono ha portato con sè.

Queste cose dicea Filerone, e Ganimede entrò poi in discorso così: Ci va costui raccontando cose che non appartengono nè al ciel nè alla terra, e nessun pensa intanto alla carestia che ci affligge. Io non ho potuto, perdio, trovar in tutt’oggi un boccon di pane. Come diavolo? continua l’asciutto, ed è ormai un anno che io patisco di fame. Venga la peste agli Edili, i quali van d’accordo coi fornaj; mangia tu che mangio anch’io. Intanto il popol minuto soffre, mentre codeste mascelle signorili stannosi in gozzoviglia. Oh se avessimo que’ leoni, ch’io trovai qui la prima volta ch’io venni dall’Asia! quello era vivere! del paro sofferse la Sicilia nel suo interno. Ma coloro accomodaronsi ben quelle maschere, come se Giove le avesse colpite. Ricordomi di Safinio,45 il quale, essend’io fanciullo, abitava all’arco vecchio. Egli era un gran di pepe; dovunque andava egli abbruciava il terreno; ma retto, sicuro, amico dell’amico, con cui potevi al buio giocare alla mora sicuramente. Nella curia poi, oh che brav’uomo! egli avea in pugno tutti come tante palle. Nè parlava già per sentenze, ma sì come uomo piacevole.