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prefazione xxxvii

medesimo scrive di sè in alcuna delle Satire e segnatamente nella undecima. È questa un invito di pranzo al suo amico Persico per la ricorrenza delle feste Megalesi: e non essendovi nessuna ragione per supporre i suoi detti poco sinceri; anzi essendovene molte per presumere il contrario; mi parrebbe di mancare all’ufficio mio e al desiderio dei lettori, se non me ne valessi per riempire in parte questa lacuna. Egli dunque ci dà contezza, che ogni tanto si sentiva nauseato e stanco del vivere in mezzo al rumore e alle seccature della capitale; e allora, per rifarsi un poco di forze e di spirito, si affrettava di ritornare per qualche tempo alla sua diletta Aquino: e là pigliava diletto a far delle grandi camminate per quelle montuose e gelide campagne.1 Quantunque ricco e cavaliere,2 la sua casa di Roma era montata con semplicità e senza lusso. Non vi si vedeva nessun oggetto d’avorio: e fino i manichi dei coltelli eran d’osso.3 Anche nei giorni di sguazzo bevea vini nostrali in tazze plebee, comprate a pochi soldi.4 Non avea nè cuoco di cartello, nè valente scalco. Facevano il suo servizio due ragazzetti, figli uno di un pastore e l’altro di

  1. Sat. III, 319 segg.
  2. «Libertini locupletis incertum filius an alumnus. — Quum venisset sua virtute ad equestris ordinis dignitatem etc.».
  3. Sat. XI, 121 segg.
  4. Idem, 145-159.