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322 lettere di fra paolo sarpi.

termini di una breve lettera; Ella vorrà perdonarmi.1

Di cuore mi congratulo con la S.V. che gode la benevolenza di re savissimo. In lui stanno riunite (caso raro) le virtù del principe e del privato. Questo è l’ideale d’un principe, a cui forse niuno si conformò nei secoli trascorsi. Se io potessi meritare la sua protezione, nulla parrebbemi dover desiderare di ciò che forma la felicità di un mortale. La pregiatissima S.V. non può far cosa più dicevole che raccomandare i miei studi a tanto sovrano.2 Prego Dio che conceda a lui e sua figliuolanza lunga e


    tuale capacità. Ed anche a Fra Paolo, che navigava, con animo da scopritore di nuovi mondi, in un mare pieno di scogli, non dovea sembrar degno di troppa maraviglia, chi, sempre co’ venti in poppa, aveva condotta a porto la navicella non di San Pietro, nè quella di Cristoforo Colombo, ma degli Annali Ecclesiastici.

  1. Il Casaubono compose e pubblicò poi realmente quest’opera, fin d’allora preconizzata, col titolo di Exercitationes in Baronium; ma, per non aver egli nè la scienza nè l’erudizione chiesastica necessarie a tal’impresa, non ebbe il suo libro accoglienza se non mediocre, anche fra gli stessi protestanti.
  2. Dopo i pungenti motti lanciati qua e là in queste Lettere contro il re d’Inghilterra, i detrattori della memoria del Sarpi troveranno, pur troppo, onde sfogare la loro animosità facendo commenti a questo paragrafo. Non sarebbe, per verità, difficile il tesserne in qualche modo ancora l’apologia, mostrando come il Servita accarezzasse in tal modo quel monarca, sì per sentimento di naturale e necessaria cortesia, come per più disporlo ad aiutare la causa della libertà, che il coraggioso frate aveva presa a difendere. Contuttociò, conveniamo noi stessi che quel far qui di re Giacomo l’ideale d’un principe, troppo è contrario alle cose altrove dette, e troppo sente l’adulazione. Pure, in fondo dell’animo nostro, quanto più ripensiamo intorno a questo alunno del chiostro e figlio di un merciajuolo da San Vito, non possiamo por limite alla maraviglia ch’egli cotanto ardisse di pensare e scrivere ed ope-