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lettere di fra paolo sarpi. 297

che si domanda comunemente il Beato.1 Ha una piccola fortezza, e per di più è borgo, ove abitano un presso a duemila di uomini e donne, coloni quasi tutti, e più che poveri, miserabili. I Gesuiti, dopochè furono esiliati dalla Repubblica di Venezia, rizzarono qui un collegio e pretendono fare scuola (com’Ella rileverà dal decreto) non solo a’ fanciulli, ma anco alle giovinette. Ma se anderà in fumo quel che raccoglievano dai Bresciani e Veronesi, bisognerà bene che faccian fagotto o muoiano di fame. Le trappole che ci apprestano in Italia, sono un bel nulla al paragone di quelle che disegnano in Costantinopoli, tutto arruffando e sommovendo per concitare i Turchi contro a noi. Io mi lusingo che questi sforzi torneranno a nulla; ma intanto niuno di loro può sfuggire alla divina giustizia, mentre si millantano Cristiani, anzi i soli Cristiani. Non aggiungerò parola; che se le presenti mie riusciranno noiose, domando scusa, pregando le SS.VV.2 ad avermi nella usata loro benevolenza. E bacio a quelle le mani.

27 marzo, 1612.

Il cardinal Gioiosa parte di Roma per venir costà, e ne spaccia a motivo fra ’l volgo una chiamata della regina. Ho per certo esser questa la vera ca-


  1. Il fratello di San Luigi Gonzaga, che Paolo V aveva giustamente ascritto fra i Beati, chiamavasi Francesco; diverso assai dall’altro suo fratello Rodolfo, uomo iniquissimo, a cui era succeduto. Sarebbe curioso un confronto tra questi sì diversi fratelli: l’uno tutto del cielo; l’altro tutto delle corti e mondano, pur meritevole che gli fosse dopo morte innalzata una statua dai vassalli, che molto lo avevano avversato; l’ultimo, de domo inferi, addirittura.
  2. Riferibilmente al Leschassier insieme e al Gillot, ai quali avea detto dover esser comune questa Lettera.