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lettere di fra paolo sarpi. 275

per cagione alcuna non saprei mancare), rimasi incerto se con buona intenzione, o per leggerezza, o per qualsivoglia altro motivo, egli avesse ciò fatto: nulladimeno, mi posi in guardia, nè mai più gli scrissi, dopo la mia ultima, quantunque egli poi ciò facesse più volte colla usata cortesia. Sono tuttora in sospeso circa il da credersi su tal proposito; se non che ho certezza che le lettere furono consegnate. Ma, checchè ne sia, non ne temo alcun male, perchè nulla io gli scrissi che non possa dirsi palesemente; se ciò non fosse l’avere scritto ad un uomo di religione non romana: la qual cosa in Roma è tenuta per gran peccato; ma noi siamo qui sciolti da tali pastoie. Chiamo Dio in testimonio, ch’io amo tuttora quell’uomo, e che perciò non venne meno la mia affezione per lui; e vorrei potergli esser utile a scemare il peso delle sue miserie.1 Solamente mi son proposto di non iscrivergli mai più, finchè la cosa non sia messa in chiaro. Non potei, perciò, se non ridere vedendo la lettera scritta di costì all’amico; dove si dice che le mie lettere vennero mandate a Roma, e di là qui rimandate, e che per questo io sono in disgrazia del Principe: delle quali cose le due ultime sono false, nè mi è noto se nè anche la prima sia vera. Se non che di tal cosa ho discorso abbastanza, e troppo a lungo l’ho trattenuta con tali scioccherie; ma l’ho fatto perchè la voce dell’accaduto non la inducesse a credere peggior cose sul conto di quell’uomo; e mi sarà gratissimo, quando le accada


  1. I lettori resteranno, insieme con noi, maravigliati nel leggere il nome di quest’uomo, oppresso dalle miserie e sospetto di aver tradito i doveri dell’amicizia, nella Lettera seguente.