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lettere di fra paolo sarpi. 157

sempre più implicandosi, e interessando l’onore: è indubitato che siano per fuggir la guerra, senza rispetto di onore. Il duca di Savoia non ha altro fine che fare guerra. Tiene per certo che il figlio non farà niente in Spagna: egli vorrebbe attaccarla, ma la regina si promette per difesa, non per offesa; onde egli fa tutto il possibile per esser attaccato. Venezia desidera quiete, perchè è proprio della moltitudine; ma li savi1 vorrebbono guerra. Non si maraviglierà V.S. che il zelo sia cessato, perchè aveva fine mondano; ed è cessato dopo che il papa tace, e lascia correr tutto, sì che mai (dico senza iperbole) alcun de’ suoi comportò tanto: e però alla Repubblica piace lo stato presente.

Io mi trovo in gran perplessità, del modo come sarà continuata la nostra comunicazione di lettere, se quella di Torino non sarà buona; e stupisco della causa perchè monsignor Castrino non abbia dato quella di V.S. al signor Foscarini. Io scriverò al signor Barbarigo il cattivo incontro che ha avuto la prima sua, e ne la scuserò; ma per questo non credo che V.S. deverà restar di trovar qualche altra via di far dar in Parigi al corriere lettere direttive a lui. Particolarmente il signor Domenico Molino resta con molto dispiacere che quella comunicazione non s’introduca, sperandone egli di là molti beni. Egli


  1. Il Sarpi (giacchè ci sembra di riconoscere in questa Lettera lui stesso, a malgrado dell’espressione: “Ma che può fare il Padre ec.„), intende qui i savi in politica, non quelli in economia; i savi al modo del Machiavelli, non al modo di coloro che cercano sopra ogni cosa la quiete (se cangrenosa non monta) e l’agiatezza delle nazioni. Ma una disputa di tal sorta, non è materia da frettolose e brevi noterelle.