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lettere di fra paolo sarpi. 209

qualche cosa, quantunque non sia quello ch’io desiderava. Ho letto con allegrezza il capitolo dove mi scrive che fa copiare le Ordinazioni delli Gesuiti, perchè quelle desidero sopramodo; e mi vado persuadendo che non saranno le Regole; quali io ho; perchè essendo queste stampate in Lione, non se n’avrebbe carestia.

Mi scrive il signor ambasciatore, che invierà tosto la fatica del signor Rochelle, che mi ha molto rallegrato. Lodo Dio che la mia curiosità sarà soddisfatta e contenta, tanto più quanto con poco gusto dei Gesuiti, i quali per l’Italia hanno sparso fama che la instituzione del Delfino era data loro. Sono persone tanto incontinenti negli appetiti propri, che ogni disegnata cosa l’hanno per fatta, non potendosi persuadere che impedimento alcuno sia da loro insuperabile. Così adesso danno fama per Germania, che saranno rimessi a Venezia, con tutto che ancora di ciò non si parli.

Hanno fatto di nuovo un efficace tentativo di entrare nello Stato d’Urbino, e da quel duca hanno ottenuto bellissime e onoratissime parole, ma non più oltre. Gli danno, ogni triennio almeno, un assalto; ma tutti, sino al presente, sono riusciti senza frutto.1 De’ futuri lasceremo agli astrologhi. Duole


    pag. 157. Le cose dette nel primo paragrafo di questa Lettera, se si raffrontino a ciò che scrivasi nel quart’ultimo della Lettera LVIII, dimostra quanto sia fondato il sospetto di esso Giovini; che, cioè, il nome di Rossi o Roux fosse già posto a coprir quello del Castrino.

  1. Su tale proposito è da vedersi ancora la Lettera dei 16 marzo 1610. — Il duca d’Urbino, Francesco Maria II, uomo di assai buon senso, particolarmente nella sua gioventù, erasi mostrato assai fermo nel difendere le prerogative del
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