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206 lettere di fra paolo sarpi.

un bel fatto. Ci guerreggerebbe la curia di Roma a corpo perduto. Se venissimo a quel partito, ne avremmo per la pratica un gran giovamento, alla maniera della pragmatica sanzione e del trattato della Parigina Curia a Lodovico XI, che V.S. ha menzionato. L’ho letto spesso, e gli diedi a questi ultimi giorni una corsa novella, assieme all’operetta sui Benefizi del Duareno. Ben altra è la condizione della presente lite, e ne porrò in chiaro la S.V. a brevi tratti.

È in Italia un ordine monastico che Camaldolense s’appella. Possiede molti e vasti conventi; tra cui quello di Santa Maria di Vangadizza nel Polesine di Rovigo, presso al Po, in diocesi d’Adria. A tale ordine presiedeva l’abate dell’eremo di Camaldoli, siccome fra voi è il Cistercense; e nel mezzo a’ guai dell’Italia, avea quasi tutti i monasteri incommendati. Di questa fatta era il convento testè ricordato. Il 1513 l’abate, capo dell’ordine, con altri sedici, istituì una Congregazione, cui appellò dell’eremo e di San Michele di Muriano, composta di diciassette conventi. Aveva speciali statuti; come, che gli abati si creassero per un triennio: disponimento che fu sanzionato da Leone X. Gli altri monasteri, dai 17 infuori, rimasero incommendati; e così avvenne anco a questo di Vangadizza. Ora, spirato l’ultimo commendatario, chiese la serenissima Repubblica che, a più decoroso splendore del divino culto, il convento fosse dato e riunito a quella congrega. Il pontefice rispose: È un boccone da nipote di papa; e dette la negativa. Quantunque s’accordassero i religiosi a dare al Borghesi, finche vivesse, tutte l’entrate, che assommano a più di 10,000 ducati e altro ancora,