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20 capitolo secondo.


— Mi lasci?

— La tempesta non accenna a calmarsi, e la mia presenza è necessaria sul ponte. Tu sai che navighiamo in un oceano cosparso d’isole, d’isolotti e di banchi coralliferi, e che un urto può avvenire da un momento all’altro. Va’, Anna e non temere, che io veglio attentamente, e il nostro legno è solido. —

Il capitano baciò in fronte la giovanetta, e salì rapidamente in coperta non ostante il violentissimo rollío che faceva sbandare spaventosamente la nave.

L’oceano era ancora tempestosissimo, e il vento non accennava a calmarsi tanto presto; però le nubi cominciavano a mostrare qua e là degli strappi attraverso ai quali si vedevano apparire, ad intervalli, le stelle. Quantunque il pericolo non fosse cessato, era facile di capire che l’uragano stava per volgere al suo termine.

Era tempo, poichè l’equipaggio, spossato da una lotta che durava già da tre giorni, senza aver potuto chiudere occhio e senza mai aver acceso il fuoco, non ne poteva proprio più. Anche la Nuova Georgia, quantunque costruita senza risparmi e non nuova alle tempeste dell’Oceano, era ridotta in deplorevole stato; i suoi fianchi resistevano sempre agli assalti furiosi delle onde, nè pareva che avessero sofferto, ma tutta la sua attrezzatura era in completo disordine. Le vele fatte a brani in più luoghi non tenevano più al vento; le sartie si erano rallentate in vari punti, le manovre scorrenti erano state in gran parte strappate, ed anche un tratto della murata di babordo aveva ceduto, lasciando il passo alle montagne d’acqua.

Il capitano Hill appena salito sul ponte si accostò al secondo, che si teneva ancora saldo accanto al timoniere, cercando di mantenere il veliero sulla buona via e gli chiese: