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cap. xxi. — l'insurrezione 321

cavalli! Si rompessero almeno le gambe! E non tenterò nulla io nel frattempo? I miei denti sono ancora buoni: cercherò di rodere le corde.

Il francese, lo abbiamo veduto, oltre essere robustissimo, possedeva un’agilità straordinaria. Fino dalla giovinezza aveva coltivato con passione tutti gli esercizi del corpo e sapeva disarticolarsi al pari d’un saltimbanco e prendere tutti gli atteggiamenti, che sembrano talvolta assolutamente incompatibili coll’organizzazione umana.

Si mise quindi all’opera, quantunque avesse ben poca speranza di riuscire nel suo intento, a causa della robustezza della rete, della mancanza di un’arme tagliente e della scorta.

Per un quarto d’ora si stirò, si raggomitolò, si dibattè facendo mille soprassalti muscolari, ma finì per dichiararsi vinto.

La rete non aveva ceduto e tanto meno i legami che lo avvincevano.

— Tutto è inutile, — mormorò, con rassegnazione. — Per me è finita e dovrò rivedere quell’antipatico marajah, quel tiranno che manda all’altro mondo i suoi nemici senza nemmeno dire: guardatevi.

Mentre così monologava, i portatori continuavano a galoppare come giovani cavalli, surrogandosi ogni mille passi. Tuonava e pioveva sempre, eppure non accennavano a fermarsi in nessun luogo.

Quella corsa durò quattro lunghe ore, che al francese parvero eterne, poi bruscamente rallentò. Attraverso la fitta tela filtrava un po’ di luce.