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cap. xix. — alla conquista d'un regno 287


— Sono duecento anni che i miei vivono nell’esilio, rimpiangendo il perduto potere.

— E come potrò io diventare la sposa dell’uomo che avrà detronizzato la mia famiglia? Io ho paura, Amali, e rifiuto fin d’ora la corona che tu mi avevi promesso. Peserebbe troppo sulla mia fronte e gronderebbe troppo sangue.

— Ti pentiresti, Mysora, di quanto mi hai promesso?

— Io ti amo, Amali, avendoti conosciuto leale, generoso e cavalleresco, eppure io non potrei diventare tua, cingendo la corona di mio fratello.

— Rammentati che tu sola, diventando mia, potresti colmare l’abisso di sangue che separa il re dei pescatori di perle dal marajah. Perduta te, sarei implacabile nella mia vendetta.

Mysora era rimasta muta. Aveva però veduto brillare negli occhi di Amali un lampo così terribile, che fremette tutta.

— Sarebbe la morte per mio fratello — mormorò ella, dopo qualche minuto di silenzio. — Lo leggo nei tuoi sguardi.

— Non farei che esercitare un mio diritto incontrastato — disse Amali.

— Non lo nego.

— È la corona che ti ho offerta che ti spaventa?

— Sì, mi fa paura. Si direbbe che io mi sono schierata dalla parte dei nemici di mio fratello e disprezzerebbero la futura regina di Jafnapatam.

— Sono lieto di questa rinuncia — disse Amali.