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il pachiderme la rigettò a dieci passi di distanza; però, più svelta d’un gatto, la belva ricominciò l’assalto.

Il coraggioso colosso cercò ancora di respingerla e arrotolò prontamente la proboscide che non voleva abbandonare ai denti crudeli dell’avversario.

Già Jean Baret vedeva rizzarsi la mostruosa testa della belva e udiva scricchiolare le sue formidabili mascelle armate di denti triangolari, quando il capitano ed il luogotenente d’Amali spararono a bruciapelo, mandando il pericoloso aggressore a rotolare fra i giungli.

Intanto gli altri cacciatori, con parecchie scariche, avevano messo fuori di combattimento un’altra tigre.

Anche il marajah non aveva cessato di far fuoco, facendosi caricare le carabine dal giovane Maduri.

Non era però riuscito ancora a respingere una enorme tigre, che per ben due volte si era avventata contro l’elefante.

Jean Baret, accortosene e temendo non già pel marajah, che avrebbe veduto volentieri morto, bensì pel ragazzo, aveva pure sparato un colpo sopra la belva e non era riuscito che a forarle una zampa.

Ciò non ostante, tutto d’un colpo, si vide la tigre tornare per la terza volta all’assalto. Con uno slancio immenso balzò sul dorso dell’elefante sventrando il conduttore e s’aggrappò alla cassa nel momento in cui il marajah si trovava coll’arma scarica.

Si udì un urlo di terrore alzarsi sugli altri ele-