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L'assalto dei caimani 261

l’albero. Yaruri, che si era raccolto su sè stesso come una tigre, si slanciò innanzi e cadde a cavalcioni dell’albero.

Pronto come il lampo, impugnò la scure e la infisse profondamente in un secondo tronco che seguiva il primo.

— A voi, padrone! — urlò.

Don Raffaele, aiutato da Alonzo che era sceso dal pennone, lasciando al dottore l’incarico di vegliare sugli indiani, ritirò rapidamente la fune e pochi istanti dopo i due alberi si trovavano riuniti presso quello della scialuppa.

— Ecco la zattera, — disse Yaruri, con aria trionfante. — Ora possiamo sfidare i caribi.

I due tronchi in pochi istanti furono legati coi paterazzi della scialuppa e ormeggiati all’albero.

— Velasco, — disse don Raffaele, — vedete nulla sulla riva?

— No, — rispose il dottore.

— Non è comparso alcun indiano?

— Non ho veduto alcuno.

— Allora scendete. La zattera ci aspetta.

— Partiamo?

— È meglio approfittare dell’oscurità.

Il dottore s’affrettò a scendere lungo le griselle.