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90 Capitolo Ottavo.

La ritroveremo ancora al suo posto.

Il mozzo lo seguì domandandosi che cosa potesse entrarci il caimano colla testuggine e colla traversata della palude.

L’jacarè — tale è il nome che danno gl’indiani a quei pericolosi abitanti delle savane e dei fiumi — si trovava sempre disteso fra le canne. Il calore solare, sviluppando i gas interni, l’aveva prodigiosamente ingrossato e pareva che il suo ventre giallastro fosse lì lì per iscoppiare.

— Com’è brutto! — esclamò il mozzo. — Già non era bello neanche prima, ma ora fa paura. —

Alvaro vibrò un colpo di scure sul fianco del rettile, balzando poi rapidamente da una parte. Gli intestini proiettati dai gas interni, si contorsero sull’erba.

— Ecco quello che mi occorre, — disse.

— Le budella di questa brutta bestiaccia?

— Sì, Garcia.

— Vorreste fare dei salami di tartaruga, signore.

— No, d’aria.

Quella parola fu una rivelazione per l’intelligente ragazzo.

— Ah! Ora vi ho compreso! — esclamò. — Che superba idea, signore!

— Giacchè mi hai capito, aiutami. —

Con pochi colpi di coltello staccò gl’intestini e li trascinò sulla riva dove si mise a vuotarli ed a pulirli aiutato efficacemente dal mozzo.

La faccenda non fu lunga.

— Un pezzo di canna ora ed un po’ di spago, — disse Alvaro.

— Un marinaio non manca mai di corda, — rispose il mozzo.

Legarono solidamente l’estremità del budello, introdussero un pezzo di canna traforata nell’altro e Alvaro cominciò a soffiare a tutta forza.

Ci volle un buon quarto d’ora prima che l’intestino che era lungo ben dodici metri, fosse completamente pieno d’aria.

— Ora andiamo a legarlo intorno alla testuggine, — disse Alvaro quando ebbe chiusa l’altra estremità. Vedremo se il rettile sarà capace di lasciarsi affondare.

Alzarono con precauzione il budello onde i rami spinosi dei cespugli non lo guastassero e riattraversarono l’isolotto.

La povera mydas, non ostante i suoi sforzi disperati, si trovava ancora rovesciata sul dorso. Agitava pazzamente le larghe