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Il giboia delle paludi. 67

— Perdinci! — esclamò Alvaro che era diventato pallidissimo. — Credevo proprio che questo serpente ci stritolasse come due biscotti. Non avevo mai creduto che potessero esistere sulla terra dei rettili d’una mole così enorme!... Sì spaventevole! —

Quel boa, che è realmente uno dei più enormi che vivono nelle savane brasiliane, misurava non meno di dodici metri di lunghezza ed era grosso quanto il corpo d’un uomo di media statura.

Il secondo colpo di fucile lo aveva quasi decapitato, mentre il primo gli aveva prodotto una ferita orribile dalla quale usciva il sangue in gran copia.

— È enorme! — esclamò il mozzo, che tremava ancora pel doppio pericolo che lo aveva minacciato. — Questi rettili devono inghiottire un uomo senza soffrire nella digestione. Che fosse quello che la notte scorsa sibilava e che sollevava delle ondate?

— Non ne dubito, — rispose Alvaro. — Ecco due buoni colpi di fucile ma che non ci compenseranno della colazione perduta.

— Non oserò più andarla a raccogliere, signore, — rispose il mozzo, che rabbrividiva ancora. — Non so quale fondo abbia questa palude.

— Cercheremo d’altro, Garcia, — rispose Alvaro. — Toh! Dimenticavamo che noi eravamo venuti qui per pescare.

— Ah! Signore!

— Cos’hai?

— Non l’avete ancora veduto?

— Chi?

— Ma sì, non m’inganno! È un canotto, signore!

— Dove lo vedi?

— Laggiù, abbandonato sulla riva, in mezzo a quel gruppo di piante acquatiche.

— Che i dintorni di questa palude siano frequentati dagli indiani? — si chiese Alvaro, lanciando uno sguardo sospettoso verso le canne e la foresta. — Se vi è una imbarcazione, ciò vuol dire che qualche volta vengono qui a pescare. Che cosa dici, Garcia?

— Che il vostro ragionamento non fa una grinza, signore, — rispose il mozzo — e che noi dovremmo approfittare di quel canotto per andare a raccogliere gli uccelli che voi avete uccisi.

— E arrostirli, è vero Garcia?