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L’aldèe dei Tupy. 275

rive d’uno stagno quasi circolare che si trovava dalla parte opposta dell’aldèe.

Essendo circondato da macchioni e da mazzi immensi di bambù che raggiungevano delle altezze inverosimili era facile a nascondersi.

— Che sia questo che provvede l’acqua ai Tupy? — chiese il marinaio.

— Sì, — rispose l’indiano. — Vedo sul suolo numerose impronte di piedi umani.

— Accampiamoci qui dunque e aspettiamo che la notte passi, — disse il marinaio.

Non osando accendere il fuoco per paura che i Tupy si accorgessero della loro presenza, si accontentarono per cena di alcune maraninga, quelle frutta squisite che somigliavano a delle uova, poi si cacciarono in mezzo ai bambù, sdraiandosi su uno strato di foglie di jupati recise dall’indiano. Rassicurati dal silenzio che regnava nella foresta e certi d’altronde di non correre alcun pericolo, non tardarono ad addormentarsi.

D’altronde Alvaro ed il marinaio potevano fidarsi interamente dell’acutezza dei sensi dell’indiano. Quell’uomo, anche dormendo, non si sarebbe lasciato sorprendere e si sarebbe subito accorto dell’avvicinarsi d’un nemico.

Il loro sonno non fu interrotto che da qualche urlo dei guarà, ronzanti intorno all’aldèe dei Tupy. Nè giaguari nè coguari, che pur allora erano numerosissimi e così audaci da slanciarsi perfino al di sopra delle palizzate e di entrare nei carbet per rapire i fanciulli degl’indiani, si fecero udire. Si erano appena svegliati, quando udirono in lontananza, in direzione dell’aldèe, una voce che canticchiava e a poco a poco diventava sempre più distinta.

Rospo Enfiato si era rizzato, colla gravatana in mano, dicendo al marinaio:

— Vengono a far acqua.

— Ed è la voce d’un fanciullo, — rispose Diaz che ascoltava attentamente.

— E non Tupy, — disse l’indiano che si era lasciato sfuggire un gesto di stupore. — È una canzone dei Tupinambi.

«Teniamo l’uccello pel collo e se tu fossi un tucano venuto a beccare nelle nostre campagne saresti volato via.» È così che cantano i nostri guerrieri quando legano i prigionieri destinati a essere macellati.