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La caccia agli uomini bianchi. 143

— Che cerchino le nostre tracce nella foresta? —

— Può darsi, ma perderanno inutilmente il loro tempo e noi approfitteremo per fuggire verso l’ovest.

— Scendiamo, — disse Alvaro. — Ne ho abbastanza di quest’albero.

— Aspettate un momento. Possono tornare improvvisamente colla speranza di sorprenderci. —

Rimasero immobili parecchi minuti, ascoltando attentamente, poi rassicurati dal profondo silenzio che regnava nella immensa foresta calarono le liane che avevano ritirate e si lasciarono scivolare fino al suolo.

— Si sono diretti verso il settentrione, — disse il marinaio, — e noi ci dirigeremo verso occidente invece.

I villaggi dei Tupinambi si trovano verso il mezzodì, ma a noi non conviene prendere quella direzione. Incontreremmo sulla nostra via il grosso o le retroguardie degli Eimuri.

Andiamo, signor Viana e giuochiamo bene di gambe, come diciamo noi marinai. —

Pochi istanti dopo i due naufraghi ed il castigliano abbandonavano la radura scomparendo rapidamente nella foresta immensa.

CAPITOLO XV.

Le anguille tremanti.

Per cinque lunghissime ore il piccolo drappello marciò senza interruzione in quella gigantesca boscaglia, passando di macchia in macchia e non facendo che qualche brevissima sosta per ascoltare se udivasi qualche rumore che annunciasse un inseguimento da parte di quei formidabili mangiatori di carne umana.

Alle nove del mattino, completamente esausti e anche molto affamati, si arrestavano sulle rive d’un fiume largo una quarantina di metri ed ingombro di piante acquatiche sotto le quali potevano benissimo celarsi degli anfibi e anche dei pesci, tutt’altro che inoffensivi.

— Eccoci già a buon punto, — disse il marinaio scendendo la riva. — Se possiamo trovare un guado e nessuno ci ostacolerà il passaggio, non avremo più nulla da temere da parte degli Eimuri che mi cercavano.

Quei selvaggi hanno troppa paura dell’acqua e per costruire un ponte con tronchi d’albero ci vuole del tempo.