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132 Capitolo Tredicesimo.

CAPITOLO XIII.

Gli Eimuri.


Rassicurati dalla tranquillità che regnava, almeno pel momento, nella immensa foresta, Alvaro, il castigliano ed il mozzo, avevano chiusi gli occhi.

Erano tutti stanchi dalle lunghe marce dei giorni precedenti ed una buona dormita era più che necessaria per prepararli al lungo viaggio che contavano riprendere l’indomani onde mettersi in cerca della tribù dei Tupinambi, che forse era tornata ai suoi villaggi.

Dormivano però, come aveva detto il castigliano, come un solo occhio, come i marinai di guardia. Ed infatti or l’uno o l’altro, temendo sempre una sorpresa da parte degli Eimuri che scorrazzavano tutti i dintorni della baia si svegliava per ascoltare.

Per parecchie ore ai loro orecchi non erano giunti che i fischi stridenti delle parraneca ed i muggiti rauchi dei rospi, ma poco dopo la mezzanotte, al castigliano, che aveva l’udito più acuto degli altri parve di udire un sussurrio che non si poteva confondere colla atroce cacofonia dei batraci.

Abituato da tanti anni ai rumori delle foreste, non si poteva ingannare. Non volendo però rompere il sonno dei suoi compagni, che russavano beatamente, con un falso allarme, si rizzò ascoltando meglio.

In lontananza si udiva un brusìo che a qualunque altro orecchio meno esercitato sarebbe sfuggito. Pareva che degli uomini marciassero in gran numero in mezzo alla sterminata foresta.

Mise una mano sulla testa di Alvaro, scuotendola leggermente e dicendogli:

— Svegliatevi, signor Viana! —

Il portoghese che non aveva già il sonno troppo duro, aprì subito gli occhi e si alzò a sedere guardando il marinaio di Solis.

— Che cosa avete? — gli chiese.

— Si avanzano.

— Chi?

— Io non so se siano gli Eimuri od altri che fuggono dinanzi all’invasione.

Degli uomini e molti, a quanto mi sembra, s’avanzano attraverso la foresta e mi pare che non sarebbe prudente rimanere più a lungo coricati: