Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/257


— 251 —

— C’è pericolo di urtare contro qualche montagna?

— Non credo che siamo vicini alle Ande.

— Se urtassimo?

— Allora buona notte a tutti.

— Il pallone non resisterà?

— Si schiaccerà come una semplice pera cotta.

— Mi fai venire i brividi.

— E a me viene caldo.

— Ah!...

— Buona notte, ragazzo!

Il pallone, cui il vento continuava a spingere innanzi con velocità crescente, sostenendolo egregiamente, era rientrato nelle nubi, che si accavallavano confusamente. L’oscurità divenne completa attorno agli aeronauti, essendo cessati i lampi. Nell’aria si udivano dei sordi brontolii che parevano prodotti da lontani tuoni e di sotto dei fischi stridenti che talvolta si cambiavano in veri ruggiti. Si avrebbe detto che il vento scuoteva con furore senza pari delle immense piante, torcendone come fuscelli i rami e i tronchi.

Alle quattro del mattino avvenne un urto alla base dell’aerostato, che per poco non fece cadere i tre aeronauti.

— Marinajo! — esclamò Cardozo, che aveva impallidito, — abbiamo toccato.

— Lo so, figliuol mio, — rispose il mastro, che aveva la fronte imperlata di freddo sudore.

— Che il pallone sia disceso?

— O che la terra si sia innalzata? — chiese invece il mastro. — Mi pare d’aver veduto una massa oscura agitarsi a pochi passi da me.

— Un picco, od un albero?

— Più un albero che un picco. Signor Calderon!

— Cosa desiderate? — chiese l’agente del Governo, la cui voce per la prima volta non era più tranquilla.

— Sapreste dirci dove siamo?

— Sopra una foresta di pellin alti almeno cento piedi.

— Allora siamo sulle Ande.