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viso aveva tutto d’un tratto assunto un’aria selvaggia. Poi, cambiando tono: — Orsù, non perdiamo dei minuti che possono essere preziosi... I Patagoni non tarderanno ad inseguirci: lo vedrete...

— Partiamo, — disse il mastro.

— E i cavalli potranno camminare? — chiese Cardozo.

— Vediamo, — disse Ramon.

Si diressero verso i quadrupedi, che non si erano ancora rialzati, e cercarono di farli saltare in piedi. Uno fu pronto ad ubbidire; ma gli altri due si rifiutarono, mandando dolorosi nitriti. Guardatili meglio, Ramon e il mastro videro che avevano le gambe anteriori spezzate.

— Ecco una disgrazia che possiamo pagare cara, — disse il gaucho, scuotendo il capo.

— E cosa si fa? — chiese il mastro.

— Bisogna fuggire egualmente.

— I nostri piedi sono stati rovinati dai Patagoni.

— Coll’incisione? Lo aveva sospettato, mastro Diego. Monteremo sui due cavalli che ci rimangono e cercheremo di raggiungere una estancia che so trovarsi a una trentina di chilometri verso il nord.

— E dopo?

— Poi daremo la caccia a qualche banda di cavalli selvaggi.

— Partiamo adunque.

Non c’era tempo da perdere: tre ore erano già trascorse, e i Patagoni potevano essere di già a cavallo in cerca dei prigionieri. Bisognava fuggire al più presto e trovare il rifugio promesso dal gaucho, l’unico che potesse salvarli.

Ramon e Cardozo montarono sul mustano e gli altri due sul cavallo preso ai Patagoni, poi partirono, dirigendosi verso il nord, in direzione del lago Urre, che è un vastissimo serbatoio formato dall’unione dei fiumi Cho di Euba e Desanguadero, entrambi scendenti dalla grande catena delle Ande.

Cominciava ad albeggiare. Le tenebre rapidamente scomparivano, lasciando vedere chiaramente l’immensa prateria,