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capitolo xiii. — un terribile combattimento. 109

geva lo sguardo non si vedeva che una immensa distesa di spuma bianca, la quale si sollevava burrascosa, come se sotto di essa si dibattessero milioni di enormi mostri.

Attraverso alle raffiche, travolti disordinatamente, si vedevano stormi di rincopi, i quali mandavano strida di terrore, e si vedevano lottare penosamente perfino gli alcioni e le rapide fregate dalle ali robuste, impotenti a far fronte alla furia del turbine.

Il 16, verso le due del mattino, mentre l’Albatros si trovava a poche miglia dal capo delle Sabbie, che forma la punta estrema della Florida, il capitano Nunez segnalava una nave che pareva perlustrasse quelle coste, malgrado l’uragano che sempre infuriava.

Quantunque la notte fosse oscura, il negriero s’accorse che era una nave da guerra. Un sospetto gli balenò nella mente.

— Che sia la goletta? — si chiese con ansietà.

— No, capitano; è un brigantino, — disse Mumbai che gli stava accanto.

— Mi pare che cerchi di tagliarci la via.

— È vero, capitano. Qui gatta ci cova.

— Ma non mi ha ancora preso, quel legno da guerra. Fa’ snodare i terzaruoli e lanciamoci verso la costa a tutta velocità, fingendo di cercare un ricovero fra le isole, e fa’ preparare i cannoni. —

Mumbai fece eseguire l’ardita manovra. L’Albatros a tutte vele sciolte, malgrado il vento furioso che poteva spezzargli gli alberi e subissarlo, filò lungo la costa come se volesse poggiare sulle isole che circondano l’estremità della penisola; ma appena ebbe oltrepassata la nave sospetta, virò prontamente di bordo fuggendo verso l’est.

Poco dopo un razzo s’alzava su quel legno che eseguiva delle misteriose manovre, perdendosi fra le tempestose nubi ed in lontananza, verso l’uscita del golfo, rombava un colpo di cannone.

Una sorda imprecazione uscì dalle labbra del capitano Nunez.

— Siamo attesi! — esclamò. — La goletta è dinanzi a noi; sono certo di non ingannarmi, e forse non è sola. Ah! Inglesi miei cari, Nunez ha la pelle dura!