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8 emilio salgari

tane pianure, le boscaglie, gli abissi, le nere rupi e le cime nevose tormentate, percosse, denudate dalla furia dell’uragano.

E non era tutto. Dagli elevati crateri, quando il vento scemava e spegnevansi i lampi, si vedevano uscire lunghe fiamme di un rosso sanguigno ed innalzarsi colonne di fumo che subito si piegavano a destra o a sinistra, confondendosi colle tenebre e colle nuvole. Pareva che anche Plutone volesse prendere parte alla festa, unendo i suoi boati al tuonar violento delle folgori e le sue fiamme ai lampi.

Il vecchio si era fermato sotto una rupe, come se fosse indeciso fra il proseguire o l’affrontar gli elementi scatenati.

— Si direbbe che l’anima tormentata del re1 è uscita dalla montagna — mormorò. — Eppure bisogna che salga alla torre. Son tre giorni che Nadir non mi vede. Povero ragazzo!

Si tirò sugli orecchi il pesante berettone, scrollò di dosso l’acqua e, raccogliendo tutte le sue forze, si mise in cammino, affrontando i torrenti di pioggia, il ventaccio, le valanghe e le folgori.

Si innalzava lentamente, aggrappandosi alle sporgenze delle rupi ed agli arbusti, curvandosi quando s’avvicinava la raffica, ma s’innalzava sempre. Un macigno enorme gli passò a pochi passi di distanza, rotolando con indescrivibile fracasso in fondo ad un baratro; una valanga, staccatasi dalle più alte cime della montagna, passandogli accanto, gli tolse il respiro; un fulmine, dopo aver descritto due o tre zig zag, lo asfisiò a metà. Tuttavia quel vecchio continuava a salire, a salire, a salire.

Ad un tratto si arrestò. Al chiarore di un lampo aveva scorto, piantati su una gigantesca rupe, quattro o cinque torrioni merlati.

— Ci siamo — disse. — Un ultimo sforzo, Mirza, e riposerai le tue vecchie membra.

Si fermò alcuni istanti ancora, poi si arrampicò su per un nero scoglio ed entrò in un piccolo sentiero aperto fra le rupi, tagliato di quando in quando a gradini.

Dopo pochi minuti giungeva su una vasta piattaforma, in mezzo alla quale, fra colossali platani che il vento curvava, sorgevano le torri.

  1. I persiani dicono che sul Demavend vaga l’anima irritata di uno dei loro cattivi re.