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Cap. XV.

Il ferito.


Le stelle cominciavano ad impallidire in cielo, mentre una luce biancastra s’alzava sopra le immense pianure del levante, destando le aquile ed i falchi, che riprendevano i loro arditi voli negli spazi celesti, quando i due montanari, portando il giovane Re della Montagna, accuratamente avvolto in uno splendido scialle di Cascemir, giungevano dinanzi ad un modesto abituro piantato sulla cima di una rupe isolata, a poche centinaia di passi dalla zona nevosa.

Un silenzio assoluto regnava in quell’alta regione della gigantesca montagna. I rumori della pianura, in mezzo alla quale biancheggiava la capitale del potente sciàh, non giungevano fino a quelle vette, ed il vento non trovava boscaglie, nè cespugli da susurrarvi dentro.

Perfino le aquile ed i falchi si tenevano lontani da quelle rocce nude e scabre, che non offrivano selvaggina, e non salivano fin là a far udire i loro squittii e le loro rauche e discordi grida.

I due montanari si arrestarono un istante, spaziando gli sguardi sospettosi sui fianchi della montagna gigante. Giù in fondo alle valli, che scendevano nella pianura, una massa nera calava frettolosamente, scomparendo sotto i cupi boschi e riapparendo sui sentieri: erano i rapitori, le guardie che lo sciàh aveva scagliate contro il vecchio castello dello sventurato giovane e che riportavano a Teheran la fanciulla. Più sopra, fra le boscaglie e le rocce, un nuvolone di fumo, che di quando in quando si tingeva di rosso e s’alzava vomitando ondate di scintille, indicava il luogo ove sorgevano le grosse torri. Più lontano, giù in fondo, verso il nord-est, una superficie bruna