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il re della montagna 147

— Non lo so. Hai veduto nessuno?

— Ma!... — disse Harum esitando.

— Parla!

— Allora ti dirò che, mentre noi salivamo la valle, mi è sembrato di scorgere un’ombra sull’orlo di un bosco. Faceva oscuro, poichè il sole stava per tramontare; ma quell’ombra mi parve umana.

— Che fosse un montanaro?

— Sul Demavend tutti ci conosciamo: banditi o cacciatori, siamo tutti amici.

— Che cosa vuoi concludere? — chiese Nadir, con ansietà.

— Che, se fosse stato un montanaro, mi sarebbe venuto incontro.

— Ed invece?...

— Scomparve nel bosco dopo il mio colpo di fucile. Se non avessi avuto con me il mollah e non avessi saputo che tu mi attendevi con impazienza, mi sarei cacciato sotto quel bosco.

— L’hai più riveduta quell’ombra?

— Sì, ma più oltre, presso l’uscita della valle.

— Era l’istessa, o un’altra?

— Le tenebre erano diventate più dense entro la valle, e non potei vederla bene.

— Che fosse una spia?

— Non so che cosa dirti.

— Che i soldati dello sciàh abbiano saputo che noi siamo saliti quassù?

— Chi sa che qua sorge un castello? Gli uomini della pianura hanno paura dei venti gelati del Demavend, e mai sono saliti fino a queste balze.

— È vero — disse Nadir. — Forse i miei timori sono esagerati ed ho torto a creare dei pericoli che sono forse immaginari. Orsù, la cerimonia si compia!

In quell’istante la porta s’aprì, e comparve Mirza.

— Mio Nadir — diss’egli. — La sposa t’aspetta.

— E’ pronto tutto? — chiese il giovanotto, trasalendo.

— Lo specchio è stato deposto sul letto della camera nuziale.

— Oh mia Fathima — mormorò egli. — Mia!... Mia!... Possa tu esserlo per sempre, e possa questa misteriosa angoscia che mi lacera il cuore ingannarsi. Vieni, Harum; vieni, Mirza!...

Uscì dalla stanza ed entrò in quella nuziale, che era la più vasta e la più bella dell’antico castello. Una infinità di lampade dorate,